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"Juzgo imposible describir las cosas contemporáneas sin ofender a muchos". Maquiavelo

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Justicia

Justicia: Ministerio y misterio

Por Alexis Di Capo.-

El Ministro Julio Alak no logra encaminar la relación con los partidos políticos, a través de la Subsecretaría Electoral que maneja “La Cámpora”.

El Ministerio de Justicia recibió la Dirección Nacional Electoral, todos los recursos humanos, y el cuantioso presupuesto, que estaban bajo la órbita de Florencio Randazzo, por su intento frustrado de ser candidato presidencial.

Una Dirección Electoral con años de experiencia y muchas elecciones, de diferentes colores políticos, sin ninguna denuncia de corrupción en la gestión de sus autoridades, no logra coordinar con los partidos políticos, con proveedores como el Correo Argentino, Ejército Argentino, Presidentes de Mesa, y muchos otros actores de las elecciones; los recursos constitucionalmente consagrados y que terminen de canalizarse hacia estos, generándose así continuos reclamos.

Los Partidos Políticos Nacionales encienden luces rojas entre sus apoderados ante lo que consideran demoras injustificadas y sospechosas, en un Ministerio que recibió recursos no previstos por sus cuadros dirigenciales (todos camporistas); y que generarían recursos de amparo en breve ante el insólito y sospechoso cuadro de situación.

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3 comentarios en «Justicia: Ministerio y misterio»

  • SE L’ARGENTINA FOSSE UN PAESE NELLA LEGALITA’ AVREBBE PAGATO I SUOI DEBITI.
    LA PRESIDENTA NON LO FA’ E NON LO VORREBBE FARE
    E GLI ARGENTINI LA MANDANO A CASA

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  • SI SONO MANGIATI L’ARGENTINA

    Elezioni Argentina: non camminano più i mocassini di Néstor Kirchner

    

    di Massimo Cavallini | 31 ottobre 2015

    Commenti (5)
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    Più informazioni su: Argentina, Cristina Kirchner

    Massimo Cavallini

    Giornalista

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    La spada e i mocassini. La spada è, ovviamente, quella del ‘libertador’ Simón Bolivar, la medesima e scintillante lama che, come vuole uno dei più noti slogan della sinistra latinoamericana – ‘alerta, alerta, alerta que camina la espada de Bolivar por America Latina…’ – ancor oggi percorre le strade del continente con il suo messaggio redentore. I mocassini – d’un ‘45’ abbondante e piuttosto sformati dall’uso – sono invece quelli che in tempi molto più recenti calzarono le due estremità inferiori di Néstor Kirchner, presidente dell’Argentina tra il 2003 ed il 2007. Anch’essi destinati a camminare, con ugual forza liberatrice, lungo le strade di questa parte di mondo, oltre la prematura scomparsa (2010) del proprietario….

    Un paradosso? Una provocazione? Soltanto in parte, perché – sebbene volutamente forzato sia, com’è ovvio, il paragone con il mitico brando del libertador – è un fatto che proprio ai mocassini di Néstor Kirchner il governo di Cristina Fernández de Kirchner, moglie di Néstor ed a lui succeduta alla presidenza, ha affidato il compito di chiudere in gloria la ricostruzione dei 200 anni di storia patria che, quattro anni or sono, sono stati ricomposti con video, pannelli fotografici e ‘memorabilia’ d’ogni tipo, nel ‘museo del bicentenario’, una molto ambiziosa, permanente e criticatissima struttura allestita nei vecchi e ristrutturati sotterranei dell’antica dogana, appena alle spalle della Casa Rosada. Esposte in una teca di cristallo, quelle calzature sono, infatti, ben più d’uno dei tanti cimeli presidenziali presenti nella mostra. Sono, piuttosto, il segnale d’una sorta di ‘fine della Storia’, un simbolo di riscatto politico e sociale, il luminoso e non reversibile culmine di quella che viene presentata come una ‘lunga lotta per la creazione d’uno Stato sovrano’. Erano le tenebre e poi venne la luce. Venne con l’avvento al potere dei Perón (più Evita che Juan Domingo, nella fattispecie), per quindi ritornare, al termine d’una lunga nottata e calzando mocassini, prima con Néstor Kirchner e, poi (un poi che ancora dura), con la di lui consorte, Cristina Fernandez, che notoriamente usa scarpe griffate con tacchi a spillo, ma che quei mocassini va tuttora metaforicamente calzando con immutata, anzi, con moltiplicata energia.

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    Va da sé che per molti – più o meno per tutti quelli che non sono kirchneristi puri e duri – quella del bicentenario è, più che una mostra storica, un vero e proprio oltraggio alla Storia, un susseguirsi di grossolane falsificazioni e di censure al servizio d’una molto peronista – ed ancor più ‘kirchnerista’ – ricostruzione dei patri eventi. E tuttavia assai utile è partire proprio da qui – da quei vecchi mocassini trasformati in reliquia e dal loro contorno – per comprendere tanto l’immagine che di se stesso ha il governo che, domenica scorsa, è andato incontro ad una molto pesante sconfitta nelle urne, quanto le ragioni di quella sconfitta.

    Come arriva la Storia argentina alle scarpe senza lacci di Néstor? Se, per ragioni di spazio, limitassimo l’analisi all’ultimo tratto del percorso, quello che dall’agognato ritorno di Perón dal suo esilio nella Spagna franchista s’arrampica fino ai giorni nostri (ai mocassini, per l’appunto), questo sarebbe l’immancabile risultato: chiunque cercasse almeno qualche accenno al ‘lato oscuro’ (cioè alla quasi totalità del tutto) dei tre tumultuosi e sanguinosi anni che, tra il ’73 ed il ’76, portarono alla vergogna della dittatura militare, con la sua lunga e sanguinosa scia di morti, torturati e desaparecidos, resterebbe mani vuote. La strage di Ezeiza (consumata, peronisti contro peronisti, il giorno stesso del ritorno dei ‘grande líder’)? Mai avvenuta. I Montoneros, l’Erp e le altre organizzazioni della lotta armata? Mai esistite. La Triple A (gli squadroni della morte della destra peronista)? Null’altro che l’avvelenato frutto della perversa mente d’un diabolico personaggio, quel José López Rega che – per la cronaca, ma non per gli ‘sceneggiatori’ del museo – fu anche, per molti anni, segretario personale di Perón e poi ministro del ‘Bienestar Social’ nel suo governo.

    Tutto il ventennio che va dalla caduta della dittatura militare (1983) alla vittoria elettorale di Néstor Kirchner (2003) non è poi, nel museo, che una sorta di nebuloso Medioevo, una grigia parentesi dominata da una economia allo sfascio e dall’oscurantismo ‘neoliberale’: debito e fame, svendita del patrimonio nazionale agli avvoltoi della finanza internazionale, miseria materiale ed umana. La presidenza del radicale Raúl Alfonsín, il processo alla ‘Junta militar’, il ‘Nunca más’ che rivelò i crimini della dittatura, il tentato golpe dei ‘carapintadas’, il decennio (questo davvero ‘neoliberale’) di Carlos Menem (un peronista che i peronisti Néstor e Cristina Kirchner appoggiarono a suo tempo senza riserve, ma non aspettatevi d’apprenderlo percorrendo gli austeri corridoi della vecchia dogana), il disastro di Fernando de la Rúa, il governo di Edoardo Duhalde che, dopo il catastrofico ‘default’ del 2001, aprì la strada alla rinegoziazione del debito ed alla ripresa economica… tutto questo non è, nel museo del bicentenario, che una rapida sequenza di note a piè di pagina, in attesa dell’alba radiosa dell’avvento di Néstor Kirchner e di Cristina Fernández, sua consorte e continuatrice del ‘relato’ e del ‘modelo’. Ovvero: della ‘narrazione politica’ e del ‘modello economico’ che hanno, infine, completato la costruzione della patria argentina cominciata 200 anni or sono.

    È a questa narrazione ed a questo modello – questa ‘fine della Storia’ la cui vera natura cercherò di illustrare in un prossimo post – che gli elettori argentini hanno rifilato domenica scorsa una tremenda sculacciata. Contrariamente alla spada di Bolivar, i mocassini di Néstor hanno, probabilmente per sempre, smesso di camminare. Vedremo perché…

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  • QUESTE SONO LE CONDIZIONI DI UN PAESE ALLA FRUTTA

    Economía

    Si el Banco Central fuera un ente privado, hoy estaría en un proceso de quiebra; el pasivo supera al activo hasta en diez veces

    por Jorge Vitale • 30/10/2015 • 0 Comentarios

    Es una lástima que los economistas que hoy anuncian falta de reservas no lo hayan hecho hace años, cuando algunos ya advertían la conducción de este modelo en el cual no son ciertas las reservas que informan ni la deuda pública ni tampoco el PBI. Aquellos índices que informa el gobierno son igual de falsos que los números del INDEC.

    La declaración de desacato por parte del Juez Griesa nos aleja cada vez más de las inversiones reales y de cualquier toma de deuda para financiar las obras públicas, servicios u otros elementos esenciales a la Nación. Pero además de todo ello, nos pone al límite de sanciones por los organismos internacionales y de exclusión en el G20 y otros organismos.

    El Banco Central ya está sumergido en un pasivo de U$S 70.000 millones, dado a que su activo son bonos, títulos y otros papeles del Tesoro Nacional que no pueden ser comerciados. Por ende, son incobrables. Asimismo, los dólares en efectivo que quedan no nos pertenecen. Son préstamos de organismos internacionales destinados a respaldar la emisión del peso argentino.

    La gravedad de la situación de las finanzas nacionales es consecuencia del despilfarro y la corrupción de la década del Gobierno K, ocultando sistemáticamente con estadísticas y registros contables mentirosos.

    Es por eso que en diciembre de 2012 nuestro país publicó una deuda externa oficial de 193.200 millones de dólares. No obstante, los principales organismos internacionales estiman que el país debe como mínimo unos 450.000 millones de dólares.

    En la actualidad, el Gobierno reconoce 275.000 millones de dólares de deuda, pero para los organismos internacionales el número ya supera los 450.000 millones de dólares.

    Esa diferencia es porque el Gobierno no incluye:

    a) La colocación de un 40% más de bonos, sin que fueran publicados.

    b) La deuda con el Club de París.

    c) Las sentencias impagas de los acreedores que quedaron fuera del Canje 2005 y 2010.

    d) Los préstamos de ANSES, el Banco Central y Banco Nación.

    e) Los U$S 25.000 millones de las sentencias favorables a jubilados y pensionados por reajustes en sus haberes.

    El falso “desendeudamento” que pregona el Gobierno K queda al desnudo al conocer que nuestro país deberá pagar hasta el 2017 U$S 70.000 millones de deuda. Es decir, un promedio de U$S 14.000 millones por año.

    De este modo, la nueva deuda (que crece cada año por intereses y capitales) que se vuelve a negociar nos ata casi 80 años más. Todo ello sin contar la deuda que seguirá acumulándose debido a que aquellos intereses que no se pagan en las fechas correctas pasan a engrosar el capital que se adeuda, sobre el que, a la vez, se cobran más intereses resultando de esta manera, una usura pura.

    Un millón quinientos mil dólares por hora es el número que se estima a pagar durante este año en conceptos de intereses. Con ese dinero podrían ser pagados los haberes mínimos mensuales de la mitad de las jubilaciones.

    Este creciente endeudamiento es porque:
    1.El Gobierno nacional admitió que la deuda que en el último año aumentó U$S 21.381 millones y que hasta el 2017 se deberán pagar U$S 70.000 millones.
    2.La mitad de la deuda son títulos colocados principalmente en ANSES, Banco Central y Banco Nación.
    3.Nuestro país paga sólo el 30% de los intereses que corresponden abonar anualmente. Sin embargo, no paga por capital, lo que hace que ambos rubros sumen mayores intereses y, por consiguiente, mayor deuda.
    4.El Gobierno nacional agotó las reservas del Banco Central y los fondos de ANSES ya son insuficientes, puesto que además deben cubrir las asignaciones familiares por hijo, las pensiones no contributivas, el programa de computadoras y el Fútbol para todos.
    5.El Grupo de los 20 (G20), donde están los países más desarrollados y los principales emergentes, exige a sus miembros controles periódicos del FMI. Pero el Gobierno argentino no ha aceptado esa norma. Así, esos mismos organismos internacionales analizan una declaración para que, de no aceptar nuestro país una auditoría, quede fuera del Grupo de los 20 y de otros organismos internacionales. Esta situación ha llevado al Gobierno nacional a buscar nuevos y lejanos mercados (Irán, Vietnam, Angola, Emiratos Árabes, Indonesia, China, etc.).
    6.La negociación con el Club de París ha sido realizada pero con un resultado desventajoso para el país, por su excesiva onerosidad.

    Ha surgido entonces entre las huestes kirchneristas la propensión a contraer mayor deuda en el exterior, pero lo limitan las condiciones de someterse a una auditoría del FMI y, lo principal, cumplir todos los compromisos internacionales.

    Claro está que la resistencia del gobierno kirchnerista a una auditoría del FMI no debe ser confundida con una política “soberana”. Simplemente quiere evitar que quede al descubierto el falseamiento de sus registros y su gestión.

    Las principales causas son:

    a) Las autoridades del Banco Central aseguran reservas por unos 27.000 millones de dólares. La realidad indica que esos fondos son sólo bonos, títulos y vales del tesoro nacional. Y que el poco efectivo en la moneda extranjera no es nuestro sino que proviene de préstamos internacionales destinados a mantener el valor de nuestro circulante, cajas de ahorro y plazos fijos de empresarios. Técnicamente, ya no tenemos reservas, porque el Banco Central debe más de lo que tiene. Si Argentina fuese una empresa privada, estaría en quiebra. La realidad es que nuestra moneda carece ya de respaldo. Ésta es la razón principal del cepo cambiario y de no saber el valor real de nuestra moneda.

    b) Los organismos financieros internacionales estiman que el gobierno argentino no publicó un 40% de los bonos que ha colocado a cambio de efectivo. Esa circunstancia, sumada a la deuda con el Club de París y de los acreedores que no ingresaron a los canjes 2005/2010, más lo intereses no publicados, hace que la deuda externa supere los 450.000 millones de dólares.

    Internacionalmente, un país es considerado en dificultades económicas graves cuando no puede cubrir el 50% de los intereses de su deuda, ni puede abonar los vencimientos de capital. Nuestro país apenas cubre el 30% de los intereses que se informan, mientras que ocultaría otros.

    Además, no paga los vencimientos de capital, ya que se emiten nuevos bonos en dólares con vencimientos que no superan los tres años. Todo lo que se ha pagado a los organismos internacionales y la deuda internacional en estos años ha tenido su correlato con nuevos bonos por esa misma deuda. En una palabra, se ha ido postergando e incrementando el volumen de deuda.

    Los acreedores que no ingresaron a los dos canjes y que tienen sentencia judicial favorable en tribunales estadounidenses no pueden cobrar porque no existen fondos ejecutables de la Argentina en el exterior. Suman unos U$S 6.100 millones que hoy serían U$S 20.000 millones.

    Con este entramado de deuda y práctico vaciamiento del Banco Central, que posiblemente el gobierno desconoce y si lo conoce ya no puede resolver, se hace imperioso el blanqueo de las finanzas nacionales como condición para encarar una economía real con vistas a dignificar el patrimonio argentino y el de sus habitantes, particularmente los más pobres. Por ésta y muchas razones más considero que el 11 de diciembre el gobierno que asuma el poder se encontrará con esta terrible realidad que el kirchnerismo oculta.

    Jorge Vitale

    estudiojuridicovitale@hotmail.com

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